giovedì 24 gennaio 2013

"Ancora tu."

E' notte.
Notte profonda.
E' una notte estiva perchè si sta benissimo in t-shirt e pantaloni di lino.
Siamo io e te. Siamo seduti su un muretto vicino ad un porticciolo  illuminato solamente da UN lampione a luce gialla, un lampione di quelli del dopo guerra.
Capisco subito dove siamo.
E' la tipica aria di un'isolotto in mezzo al mare abbandonato anche da Dio.
Ad un certo punto ti alzi e mi chiedi di seguirti.

Lo faccio, senza esitare.. "come un ragazzo segue un aquilone".
Iniziamo a camminare su una strada sterrata... completamente buia ed illuminata solo dalla luce della luna.
Dietro di noi il piccolo vecchio porto sempre più lontano.
Camminiamo tanto, e sempre in salita...
Non posso fare a meno di essere rapita dalla luminosità di un cielo stellato e di versi di grilli laboriosi.
L'erba non è altissima, ma pizzica sulle gambe ad ogni passo, senza pero' provocare fastidio.
L'odore di steppa, di collina.

Arriviamo. Tu sei piu avanti, ti vedo a mezzo busto in quanto sei alla fine della salita.
Vedo alla penobra la tua testa che si alza e il mio sguardo non puo' fare a meno di posarsi dove presumo si sia posato il tuo.
Alzo la testa, imitandoti.
Ed eccoci.
Siamo letteralmente circondati da una parete rocciosa altissima e liscia.
Non si puo' proseguire, se non a destra.
Ti raggiungo e cammino nello spiazzale di terra morbida tenendo lo sguardo fisso sulla cima della parete, che pare piatta, tagliata, come se un Ciclope di 10 piani avesse, nella rabbia, scagliato un'ascia tagliandone la punta.
Un rumore... Cade una roccia, da quella cima.
Fisso la sua caduta, cercando di sforzare gli occhi a quella luce non luce.
Un rumore sordo.
La pietra è arrivata al suolo.
Mi allontano, tornando sulla strada sterrata e mi metto di fianco a te, cercando, come sempre, di scrutare il tuo viso.

Mi indichi con la testa una strada asfaltata, larga per  tre persone forse, e alla fine c'è un'altro lampione, uguale a quello del porto, solo di luce meno intensa. Gialla.
Avvicinandomi scorgo una panchina.
C'è un vecchio.
E' seduto, da solo.
Sembra un vecchio pescatore, con quel gilet sopra quella camicia a quadri e quei pantaloni tirati su fino al bordo degli stivali di gomma. E quel cappello, ormai scucito..
Mi avvicino fino al punto di entrare nel cerchio luminoso creato dal lampione.
Il pescatore mi guarda, sorride,  e mi fa posto sulla panchina.
Mi giro verso di te, ci stai raggiungendo.
Poi mi guardo attorno.
Dietro la parete rocciosa, davanti lo strapiombo.
E la notte.
Uno spettacolo da brividi, il mare che rispecchiava le stelle sfuocate con un sottofondo musicale di onde in movimento.
Mi siedo sulla panchina senza smettere di fissare il mare.
Il pescatore mi chiede di dargli la mano mostrandomi la sua aperta.
La osservo e noto che è una vecchia mano rugosa, sporca di mare e vita vissuta.
Appoggio la mia mano destra, palmo contro palmo.
Lui me la gira e con il suo dito indice inizia a fare delle linee, tornando piu volte negli stessi punti.
Quando ha finito torna semplicemente a guardare il mare.

Mi guardo la mano.
La linea della vita, del destino e del cuore  sono marcate di nero, come se qualcuno le avesse ricalcate con un pennarello.

Come alzo la testa da quel disegno, mi trovo improvvisamente al porticciolo, sul muretto.
Ti cerco.
Sei dietro di me, in piedi.
Mi appoggi le mani sulle spalle per qualche istante e quasi scivolando mi sveglio, tornando nel mondo reale.

Non avrei voluto svegliarmi.